LE TOSSICOMANIE: PROBLEMI MEDICO-LEGALI Generalità e definizioni.
Il termine droga deriva dall’inglese drug e raggruppa un insieme di sostanze di varia origine, con meccanismi d’azione ed effetti estremamente vari; frequente l’uso del termine stupefacenti, di derivazione francese, talvolta di narcotici, di estrazione anglosassone.
E’ un mezzo di cui si è sempre servito l’uomo per alleviare l’angoscia della vita ed in uno studio dell’OMS è emerso che oltre un miliardo di persone nel mondo ne fanno un uso contenuto, mentre alcune centinaia di milioni ne abusano e fra questi sono da considerare circa 30 milioni di alcolisti cronici irrecuperabili. In Italia si annoverano circa 600.000 consumatori di droghe "leggere" e 300.000 di droghe "pesanti". A prescindere dalla predisposizione socio-psicologica all’abuso, le motivazioni dell’espansione del fenomeno vanno ricercate nei profitti vertiginosi che realizza la criminalità organizzata, basati su un giro d’affari dell’ordine dei 30.000 miliardi/anno e guadagni che superano gli investimenti di 600 volte per la cocaina e 1.700 volte per l’eroina.
Secondo la definizione dell’OMS la tossicodipendenza è uno stato di intossicazione cronica o periodica, dannosa all’individuo ed alla società, prodotta dall’uso ripetuto di una sostanza chimica, naturale o di sintesi.
1. il desiderio invincibile di continuare ad assumere la sostanza e di procurarsela con ogni mezzo;
2. la tendenza ad aumentare la dose per ottenere gli stessi effetti (tolleranza);
3. la dipendenza psichica e poi eventualmente fisica dagli effetti della sostanza;
4. la grave compromissione della salute, della vita di relazione e della validità individuale.
Le tossicomanie rientrano perciò nel quadro della appetizione maniaca, ovvero della spinta irresistibile a realizzare un desiderio ad ogni costo. Si passa così dal piano del desiderio a quello del bisogno, che condiziona a tal punto il comportamento, da annientare ogni possibilità di libera scelta: lo stato di schiavitù psichica e fisica è incorreggibile per mezzo dei soli poteri volitivi individuali.
La tolleranza o assuefazione. In seguito ad uso ripetuto l’assunzione della stessa quantità provoca un effetto minore, oppure è necessaria una quantità superiore per ottenere l’effetto iniziale. La tolleranza acquisita (esiste anche una tolleranza spontanea su base genetica) riconosce due meccanismi, il primo è l’induzione epatica di enzimi attivi a metabolizzare la sostanza stessa, il secondo è la perdita di recettori della parete cellulare con progressiva minore sensibilità delle cellule bersaglio. Diversa è la tachifilassi, cioè la progressiva riduzione degli effetti a somministrazioni ravvicinate, dovuta all’esaurimento dei neurotrasmettitori cellulari.
La dipendenza psichica. E’ uno stato di malessere o di sofferenza del soggetto che si realizza sul piano emozionale per effetto della privazione della sostanza chimica cui è stato ripetutamente esposto e che si attenua o scompare con la successiva assunzione. Tra gli effetti della deprivazione vi è anche l’impulso a procacciarsi la droga, come conseguenza delle sensazioni soggettive di instabilità psichica.
La dipendenza psichica può esistere anche in assenza di quella fisica (tipica quella da allucinogeni). Tale farmacodipendenza si può realizzare per qualsiasi sostanza, indipendentemente dal fatto che sia stata originariamente usata a scopo terapeutico oppure no.
La dipendenza fisica. E’ un’alterata condizione fisiologica che provoca la necessità di una continua somministrazione della sostanza per prevenire le manifestazioni acute da carenza. Si accompagna sempre alla tolleranza, ma non sempre si verifica il contrario, ed è peculiare di pochi farmaci fra cui gli oppioidi, alcuni antagonisti dei narcotici, l’alcool etilico ed alcuni ipnotici e psicofarmaci.
TIPI DI FARMACO-DIPENDENZA
I Dipendenza psichica grave associata a dipendenza fisica
a) tipo oppiacei o "morfina":
b) tipo alcool-barbiturici:
alcool etilico, barbiturici, meprobamato, benzodiazepine.
II Dipendenza psichica marcata associata a lieve dipendenza fisica
a) tipo agonisti-antagonisti degli oppiacei:
b) tipo anfetamina:
III Dipendenza psichica isolata
cocaina, cannabis, allucinogeni tipo LSD, solventi, nicotina, caffeina
Evoluzione delle tossicomanie secondo Leuner H. (1971):
A) Il consumo di droghe tende ad estendersi come malattie infettive: per contatto investendo ambiti sempre più ampi.
B) Il consumo di droghe va progressivamente estendendosi a gruppi di soggetti sempre più giovani.
C) Tende lentamente ad aumentare il consumo delle droghe pesanti rispetto a quelle leggere.
D) La cerchia dei consumatori va allargandosi dai gruppi di studenti e di scolari a gruppi di apprendisti, operai, professionisti e casalinghe.
Da una prima assunzione del tossico casuale o pilotata da reclutatori, oppure terapeutica si passa presto ad un abuso (tossicomania) ed alla dipendenza psico-fisica (tossicodipendenza). La personalità del soggetto subisce una fase di disinibizione che si evidenzia con comparsa di
atteggiamenti dapprima volgari, successivamente decisamente asociali con abbandono dello studio, del lavoro e della famiglia alla ricerca esasperata del tossico. Proprio nelle fasi iniziali possono insorgere delle crisi di depressione reattiva che talvolta conducono al suicidio.
??L’uso occasionale è caratterizzato da assunzioni intervallate da lunghi periodi di astinenza, essendo per lo più determinato da finalità edonistiche o da peculiarità dell’ambiente sociale. Gli assuntori occasionali utilizzano dosaggi bassi o innocui, possono interrompere in qualsiasi momento tali assunzioni, senza che ne derivi alcuna sofferenza, mantengono sempre il controllo di sé e della situazione.
??L’assunzione abituale, cioè il ricorso costante all’uso della sostanza, comporta l’instaurarsi di una condizione di tolleranza e di una iniziale dipendenza dal farmaco, che tuttavia consente ancora la cessazione con modesta crisi di astinenza. Gli assuntori abituali riescono a conservare i propri interessi e la propria vita sociale, ma se non hanno fondi sufficienti, tenderanno a servirsi di mezzi illeciti per procurarsi la sostanza.
??La tossicomania, infine, costituisce l’ultimo scalino della progressiva soggezione e presenta tutti i fenomeni descritti in premessa: tolleranza, dipendenza psichica e fisica, compromissione dei poteri intellettivi e volitivi, la comparsa di gravi crisi di astinenza, uno stile di vita spesso delinquenziale.
Intossicazione da oppio e derivati. Oppio. Storia. Il termine deriva dal greco opion che significa succo. Viene ottenuto infatti dal succo lattiginoso delle capsule immature ed incise della pianta papaver somniferum album (per l’aspetto biancastro dei semi), coltivata prevalentemente nel Medio ed Estremo Oriente. è probabile che gli effetti dell’oppio sulla psiche fossero già noti agli antichi Sumeri (4.000 a.C.), in quanto chiamavano il papavero pianta della gioia. Era conosciuto dagli antichi greci col nome di meconion, una poltiglia giallo-verdastra ottenuta dallo schiacciamento della capsula e dei suoi semi. I medici arabi erano tutti particolarmente versati negli impieghi dell’oppio; l’introduzione della droga in oriente ed in Cina, per la cura della dissenteria, avvenne ad opera di commercianti arabi. Verso la metà del XVI secolo gli impieghi dell’oppio, quali sono validi tutt’oggi, erano abbastanza conosciuti in Europa; a Paracelso (1490-1540) viene attribuita la preparazione della tintura di oppio (laudano) che si usa ancora oggi, modificata da Sydenham (tintura o sciroppo all’1% di morfina).
Nel 1680 Sydenham scriveva: "Fra i rimedi che l’Altissimo Signore si è compiaciuto di dare all’uomo per alleviare le sue sofferenze, nessuno è così universale e così efficace come l’oppio". Questo concetto è valido ancora oggi.
In Europa pur essendo l’oppio a portata di chiunque, modesti furono gli abusi (mangiatori di oppio o bevitori di laudano) e non assunse le proporzioni di vera piaga sociale, come invece era già avvenuto per il consumo degli alcoolici, fino all’invenzione dell’ago da siringa ed all’uso parenterale della morfina, invece di quello dell’oppio grezzo.
Origine e composizione dell’oppio. Il succo lattiginoso viene essiccato all’aria e si formano così delle masse gommose e brunastre (pani) ; ulteriormente essiccato viene polverizzato per preparare l’oppio in polvere. I costituenti farmacologicamente attivi sono di natura alcaloidea, di numero elevato e costituiscono circa il 25% del peso dell’oppio; possono essere raggruppati in due distinte categorie:
??i derivati del fenantrene (ad azione euforizzante, depressiva ed analgesica);
??i derivati della benzilisochinolina (azione spasmolitica sulla muscolatura liscia).
I principali alcaloidi naturali dell’oppio di interesse medico sono riportati in tabella.
Quantità di principio attivo in Gli alcaloidi benzilisochinolinici non sono
né analgesici né stupefacenti. Gli alcaloidi
fenantrenici hanno una struttura chimica generale molto simile fra di loro e possono
essere trasformati l’uno nell’altro o in altri
alcaloidi semisintetici, fra i quali l’eroina,
mediante modeste manipolazioni chimiche delle molecole.
regolamentata dalle Nazioni Unite. L’India,
isolate la morfina e gli altri alcaloidi. La morfina è adoperata come tale, tuttavia gran parte è convertita in codeina, che si ritrova nell’oppio in quantità non sufficienti a soddisfare le necessità terapeutiche.
La produzione illegale dell’oppio è enorme: la gran parte di quello consumato in Oriente viene prodotta nel Sud-Est asiatico, l’eroina che illecitamente raggiunge l’Occidente è ricavata generalmente da oppio coltivato in Turchia.
Uso terapeutico
L’oppio nelle preparazioni farmaceutiche deve contenere ufficialmente il 10% in peso di morfina; è disponibile per l’impiego clinico sotto forma di capsule, compresse, pillole o come tintura di oppio (laudano), quest’ultima è una soluzione idroalcolica contenente il 10% di oppio (1% di morfina). Viene sfruttato l’effetto costipante in caso di forme diarroiche o dissenteriche di varia origine, oppure in colostomizzati per rendere più gestibili le evacuazioni.
Uso voluttuario
L’oppio può essere assunto per via orale o fumato in apposite pipe.
Gli effetti specifici consistono generalmente in una sensazione di leggerezza, di immortalità, di prestanza intellettuale e fisica, una beatitudine inerte e contemplativa; la sensazione di piacere è determinata dal blocco di stimoli spiacevoli, quali il dolore, l’angoscia, la paura e dall’attenuazione degli stimoli esterni. L’immaginazione verrebbe esaltata senza arrivare alle vere e proprie allucinazioni.
Gli avvelenamenti con preparazioni a base di oppio sono in genere di tipo suicidiario o accidentale e richiedono 1-2 g di oppio o 20-40 g di laudano. Il tossico-dipendente assuefatto può arrivare a fumare 20-25 g di oppio al giorno senza riportarne gravi conseguenze.
Le intossicazioni da oppio si possono distinguere, per la sintomatologia, in:
1) iperacuta, caratterizzata da stato comatoso con respirazione stertorosa, midriasi, convulsioni; la morte sopraggiunge in circa un’ora;
2) acuta, con cefalea, vertigini, iperestesia, vomito, narcolessia, miosi, ad insorgenza dopo un’ora dall’assunzione può evolvere verso il coma e la morte preceduta dalla comparsa di midriasi. Le forme non mortali sono caratterizzate da stato di tranquillità con distacco dalla realtà.
3) cronica, è discussa una compromissione nervosa anche fra i consumatori più accaniti, raro è pure un deperimento organico, tipica è la miosi estrema.
Morfina.
Venne così chiamata da Morfeo, dio del sonno. E’ il più importante alcaloide dell’oppio e da questo isolato da Friedrich Serturner, sotto forma di polvere bianca che tende ad imbrunire all’aria, insolubile in acqua, è solubile in alcool. In terapia sono utilizzati i suoi sali, cloridrato e solfato, che risultano discretamente solubili in acqua. Può essere assunta sia per via orale, sia sottocutanea che intramuscolare. Assorbita rapidamente, ha un’emivita di circa 4 ore. Si distribuisce velocemente in vari tessuti, ma è lenta la sua penetrazione dal sangue nel S.N.C., per cui l’acme analgesico si ha solo dopo 20 minuti; in minima parte viene metabolizzata, per lo più è eliminata libera o glucurono-coniugata con le urine.
Uso terapeutico
L’applicazione terapeutica fondamentale è la cura del dolore di qualunque origine: nelle coliche renali e biliari, nella occlusione vascolare acuta, nel dolore da infarto cardiaco, del cancro diffuso, nell’edema polmonare, nelle pleuriti e pericarditi dolorose, nelle ustioni, nelle ferite dei tessuti molli, nelle fratture ossee, come analgesico pre e post-operatorio.
Sul sistema nervoso centrale esercita un’azione narcotica che si manifesta con analgesia, sonnolenza, cambiamento dell’umore ed ottundimento mentale; non causa disturbi della parola né incoordinazione motoria, inoltre non ha effetti anticonvulsivanti.
Non viene abolita e forse neppure ridotta la sensibilità dolorosa, come per l’anestesia locale, ma scompare la sofferenza psichica legata al dolore.
Oltre ad uno stato di "serena e tranquilla lucidità" (Bini), la morfina determina una depressione dei centri bulbari del respiro riducendone la sensibilità alla CO2; inizialmente stimola, poi deprime il centro del vomito; riduce le contrazioni propulsive pur aumentando il tono di base della muscolatura liscia dell’intestino e della vescica.
La morfina agisce rimpiazzando le endorfine cerebrali, ormoni con il compito di neurotrasmettitori e neuromodulatori, la cui produzione viene progressivamente ridotta; le alte dosi di morfina, associata alla sua lunga durata d’azione, determinano la perdita di gran parte dei recettori attraverso i quali la droga agisce sulle cellule nervose. Nella crisi da astinenza, l’improvvisa indisponibilità di morfina si viene a sommare alla scarsa produzione di endorfine cerebrali ed alla rarefazione estrema dei recettori attraverso i quali le endorfine presenti possono agire, per cui si scatenano scompensi funzionali con i sintomi caratteristici.
Uso voluttuario
La morfina determina dipendenza e tolleranza con aumento progressivo delle dosi fino a 10-20 volte la dose normalmente letale.
L’assuntore dopo i primi "buchi" avverte il benefico effetto sedativo ed euforizzante del farmaco e magari si sorprende nel non accusare disturbi da astinenza, rafforzandosi in lui l’errata convinzione di non arrivare mai alla "dipendenza" e di poter smettere in qualsiasi momento; viceversa dopo 3-4 settimane compaiono i primi sintomi di astinenza.
La crisi d’astinenza è tanto più forte ed insopportabile, quanto più elevate erano le dosi di morfina, tuttavia scompare gradualmente, nei casi favorevoli, dopo 10-14 giorni; i soggetti sopravvissuti non hanno più bisogno di fare ricorso alla morfina.
Come l’oppio, anche la morfina, da sola, non determina un decadimento mentale inoltre, essendo impiegate fiale destinate alla terapia, neppure presenta il quadro di patologia organica grave tipico dell’eroina, variamente tagliata con sostanze tossiche; è però frequente un deperimento organico sia per l’emarginazione sociale, sia per i disturbi dispeptici (anoressia, crisi di stipsi alternate a diarrea).
Contro una dose terapeutica di 10 mg per via intramuscolare, tre o quattro volte al giorno, la dose media assunta giornalmente dal tossicodipendente è di 100-150 mg al giorno, potendo arrivare in alcuni casi a 2-3 grammi. La dose minima letale per singola assunzione è 200-250 mg, salvo soggetti ipersensibili, per i quali possono bastare 60 mg.
Eroina.
E’ diacetil-morfina, si presenta sotto forma di cristalli bianchi che si colorano in rosa all’aria. E’ stata sintetizzata dalla morfina ed usata a scopi terapeutici per supposta minore capacità di dare assuefazione. La doppia acetilazione consente una maggiore liposolubilità, con facilitata penetrazione dell’eroina nell’encefalo, dimostrando un’azione più rapida ed intensa (5 volte) di quella della morfina, nella quale viene trasformata mediante un processo di deacetilazione. Nei liquidi organici e nei tessuti viene infatti riscontrata la presenza di monoacetilmorfina e morfina.
Anche la tossicità è più elevata con rapida depressione del centro respiratorio anche alle dosi terapeutiche. La dose mortale è circa la metà di quella della morfina, 100 mg.
Uso terapeutico
Il suo impiego è limitato ai gravi stati dolorosi terminali di cancerosi, somministrata per via ipodermica od orale.
Uso voluttuario
L’azione euforizzante è molto intensa e pertanto l’effetto stupefacente è assai maggiore. La tossicomania si istituisce rapidamente e le conseguenze sono ancor più gravi che nel morfinismo.
L’assunzione può avvenire in quattro modi diversi:
1) fumandola: può provocare effetti intensi, ma ne richiede notevoli quantità;
2) sniffandola: ha sapore molto amaro e determina frequentemente nausea e vomito;
3) iniettandola intramuscolo: è il metodo tipico di inizio della somministrazione voluttuaria;
4) iniettandola endovena (buco): l’effetto compare in pochi minuti (flash) e dura circa due ore. Il flash consiste in una sensazione quasi orgasmica o di inesprimibile beatitudine fisica e psichica, seguita dalla sensazione di essere punti da spilli su tutta la superficie del corpo, quindi da una fase di rilassamento che tende ad accorciarsi proseguendo l’uso della droga.
Oltre alla sintomatologia acuta e cronica tipica della morfina è riconosciuta una alterazione della personalità con atteggiamenti asociali ed aggressivi.
Inizialmente era smerciata come "brown sugar", di cui l’eroina costituiva il 30-35%, la caffeina e la stricnina lo 0,5-1%, quindi zuccheri vari come diluenti. La percentuali di eroina delle confezioni di droga da strada è andata via, via diminuendo al 10-12% alla fine degli anni ‘80 ed al 3-4% nei primi mesi del 1993 ed i diluenti impiegati sono quasi esclusivamente zuccheri. Partite mal tagliate, con percentuali di eroina doppie o triple di quelle abituali, espongono i tossicodipendenti al pericolo di overdose.
I decessi da eroina devono essere imputati esclusivamente al sovradosaggio di stupefacente, mentre nessuna influenza nel determinismo della morte sarebbe dovuta ai più comuni diluenti e sofisticanti del mercato clandestino.
Quadro anatomo-patologico da morte per overdose di eroina.
L’esame esterno, in caso di tossicodipendente abituale, è caratterizzato da aspetto senescente, magro, con segni di agopuntura recente e pregressa, vasi trombizzati, cicatrici pigmentate ai gomiti, mani e piedi. L’esame microscopico del tessuto prelevato da queste sedi evidenzierà tessuto cicatriziale, granulomatoso o necrotico-emorragico. Alcuni vasi possono essere completamente trombizzati, altri presentano una sclerosi della parete e fenomeni flogistici perivascolari.
A livello polmonare è tipica la presenza di un edema polmonare acuto iperproteico, nell’ambito di fenomeni flogistici e tromboembolici diffusi; non raro è il riscontro di materiale ab ingestis.
Fegato, milza e linfonodi sono ingranditi; a livello epatico, a prescindere dal quadro di epatiti acute e croniche o di cirrosi, è la norma il riscontro di un infiltrato cellulare periportale aspecifico con steatosi diffusa.
Il cervello, edematoso e congesto, può presentare una punteggiatura emorragica.
Cervello, fegato, polmone, sangue, urine e bile permettono la determinazione dell’eroina.
Metadone
E’ un narcotico di sintesi, con azione farmacologica molto simile a quella della morfina, introdotto nel 1964 dagli statunitensi Dole e Nyswander per la cura degli eroinomani. Oggi è impiegato piuttosto diffusamente anche per fini voluttari.
Rispetto all’eroina il metadone presenta i seguenti vantaggi:
1) si assume per via orale: oltre a prevenire la patologia collaterale per l’uso di siringhe infette, determina un decondizionamento dal "buco";
2) ha un’azione terapeutica prolungata: il metadone ha un effetto che dura circa 24 ore, per cui richiede una sola somministrazione giornaliera, in caso di somministrazione cronica la
crisi di astinenza compare solo dopo 24 ore dall’ultima dose, è più prolungata, ma notevolmente più sopportabile per la minore intensità dei sintomi;
3) rispetto all’eroina provoca una tolleranza agli effetti del farmaco di minore importanza.
Lo svezzamento metadonico dell’eroinomane, che può durare anni, si attua con la somministrazione a scalare, iniziando con la dose minima sufficiente a prevenire la crisi da astinenza, da ridurre progressivamente fino a cessarne la somministrazione.
La diversa induzione degli enzimi dimetilanti, l’ampio legame con le plasmaproteine, la non correlazione con il peso corporeo, l’escrezione urinaria pH-dipendente, il possibile incremento della clearance delle creatinina, rendono assai complessa la farmacocinetica del metadone e richiedono aggiustamenti individuali del dosaggio terapeutico.
Se durante la disassuefazione il tossicodipendente riprende a bucarsi, si vanifica la terapia in corso ed è necessario ricominciare tutto dall’inizio.
Per questi motivi è necessario che la terapia metadonica di mantenimento sia sempre supportata da adeguati interventi di tipo psicologico o socio-riabilitativo.
Sindrome da astinenza Sintomatologia Ore dall’ultima dose di: astinenza Metadone
1 - Starnuti, sbadigli violenti, lacrimazione, rinorrea,
profusa sudorazione, malessere generale grave, spossatezza muscolare.
- Aumento dei segni precedenti più midriasi, intensa
2 sensazione di freddo con tremori, piloerezione (pelle
d’oca) e dolori acuti addominali, ai muscoli ed alle
- Aumento dei segni precedenti più insonnia, crisi
ipertensiva, cefalea intensa, iperpiressia, talora delirio, tachicardia, tachipnea, crampi muscolari, nausea.
- Aumento dei segni precedenti più vomito e diarrea,
calo ponderale, emoconcentrazione, leucocitosi,
possibile collasso cardiocircolatorio (può richiedere la somministrazione di morfina).
Agonisti-antagonisti degli analgesici stupefacenti.
Se il gruppo metilico (-CH3) dell’azoto aminico della morfina viene sostituito da un gruppo allilico (-CH2-CH=CH2) si ottengono composti capaci di antagonizzare gli effetti di tutti i derivati, naturali
e sintetici, dell’oppio. La nalorfina ed il levallorfano conservano deboli effetti morfinosimili, il naloxone è un antagonista puro, la pentazocina è un debole antagonista, che possiede ancora significativi effetti agonistici (analgesici); il naltrexone è un antagonista puro di sintesi, derivato dalla tebaina. L’antagonismo è competitivo e spiegabile sulla base di uno spiazzamento dell’agonista dal recettore.
Uso terapeutico
A. Il naloxone (Narcan) ed il naltrexone(Nalorex) sono sprovvisti di qualsiasi azione morfinosimile; la nalorfina (Norfin) ed il levallorfano (Lorfan) pur producendo in miniatura tutti gli effetti degli analgesici non possono essere impiegati a dosaggi elevati perchè provocano sensazioni soggettivamente spiacevoli oppure un quadro di psicosi tossica. La pentazocina (Talwin) è invece comunemente usato come analgesico di potenza bassa o intermedia; se somministrato ad un eroinomane provoca una debole sindrome da astinenza, che poi inibisce per i suoi effetti morfino-simili. Il suo impiego continuo può dare una modesta sindrome da astinenza alla sua brusca sospensione. Esempi di abuso, specialmente in individui già tossicomani sono oggi frequenti.
B. In caso di intossicazione acuta da oppiacei tutti gli effetti deprimenti, in particolare sul respiro e lo stato comatoso, sono rapidamente antagonizzati con un recupero spettacolare dei pazienti; a questo scopo viene abitualmente usato il naloxone. Poiché la durata d’azione degli oppiacei è molto più lunga di quella dell’antagonista, è opportuno tenere sotto osservazione questi pazienti ed eventualmente ripetere la somministrazione dopo due, tre ore.
L’azione degli antagonisti è assolutamente specifica: in caso di avvelenamento da barbiturici o da altri deprimenti del respiro, la loro somministrazione non modifica il quadro clinico o addirittura aggravano ulteriormente la depressione respiratoria se conservano un blando effetto morfino-simile.
In un soggetto in cui sia stabilita una dipendenza da oppiacei, il naloxone deve essere somministrato a piccoli dosaggi (0,4 mg = 1 fiala), ripetuti ad intervalli di 2-3 minuti, in quanto provoca rapidamente una sindrome da astinenza della durata di poche ore, tuttavia molto intensa e potenzialmente pericolosa.
Una indicazione particolare è la somministrazione alla madre tossicodipendente durante il travaglio per prevenire una depressione respiratoria fatale del nascituro.
C. Il naltrexone è un antagonista dotato di lunga durata di azione. Il suo uso consente di bloccare gli effetti farmacologici degli oppiacei somministrati per via esogena ed infatti viene somministrato a ex-tossicodipendenti, perfettamente disintossicati, per prevenire ricadute.
Buprenorfina (Temgesic)
Si tratta di un analgesico centrale di sintesi, la cui formula di struttura ricorda sia la morfina che alcuni antagonisti dei narcotici come il naltrexone, con caratteristiche di agonista-antagonista parziale degli analgesici stupefacenti. Dotato di elevato potere analgesico, superiore a quello della morfina, durata d’azione prolungata; sviluppa tolleranza e tolleranza crociata con la morfina. La comparsa dell’effetto analgesico si evidenzia 10-15 m’ dopo somministrazione endovenosa e 20 m’ dopo somministrazione intramuscolare o sublinguale.
Sfruttando l’azione antagonista, la buprenorfina può essere usata come farmaco di mantenimento, in sostituzione del metadone, con il vantaggio della sicurezza verso l’overdose e di una capacità assuefacente di gran lunga inferiore a quella del metadone.
Sfruttando l’azione antagonista, paragonabile a quella del naltrexone, la buprenorfina può essere impiegata per:
1) sostituire la terapia di mantenimento metadonica;
2) favorire il passaggio dalla terapia agonistica con metadone alla terapia con antagonisti senza passare dalla fase di disintossicazione e di induzione al naltrexone.
Intossicazione da cocaina. Provenienza. La cocaina è il principale alcaloide estraibile dalle foglie di Erythroxylon coca e da altre specie di Erythroxylon. L’albero è originario del Perù e della Bolivia, dove le sue foglie sono state usate per secoli dagli indigeni per accrescere la resistenza alla fatica.
Il sale più importante è il cloridrato, sotto forma di polvere bianca cristallina, che viene assunta per aspirazione dei cristalli attraverso la mucosa nasale; questa metodica, a causa dell’azione irritante e vasocostringente della droga, determina frequenti epistassi e lesioni della mucosa nasale fino alla perforazione del setto.
L’azione farmacologica della cocaina è di tipo anestetico locale e stimolante il sistema nervoso centrale potenziando l’attività mentale; aumenta la velocità di produzione e di liberazione delle catecolamine centrali (dopamina e noradrenalina) e ne blocca il riassorbimento con pericolo di crisi adrenergiche (ipertensiva soprattutto). Il rapido consumo delle catecolamine porta anche all’esaurimento degli effetti della cocaina, per cui il tossicomane è costretto all’astinenza in attesa che si ricostituiscano le riserve.
Uso terapeutico
Viene usata come anestetico locale esterno della cornea (soluzioni all’1-4%) del naso e della gola (soluzioni al 10-20%).
Uso voluttuario
Le frequenti lesioni del setto nasale e l’aumento del prezzo nel commercio illecito ne hanno diffuso anche l’uso endovena, da sola o mescolata ad eroina che ne attenua lo stato di eccitazione tossica (speed-ball).
Per via inalatoria l’effetto dura circa 40 minuti; per via endovenosa l’effetto è più intenso, ma si esaurisce in 10 minuti.
Gli effetti soggettivi sono di esaltazione del tono psichico fino all’eccitamento euforico, riduzione della sensazione di fame, di fatica fisica e psichica, aumento della sopportazione del dolore. Il soggetto ha l’impressione di essere capace di affrontare ogni situazione, i suoni ed i colori diventano più vividi, sono frequenti allucinazioni o illusioni a contenuto gradevole.
Il confronto fra lo stato depressivo abituale e quello euforico dopo assunzione di cocaina porta al desiderio di ripetere l’esperienza anche più volte in poche ore, ma gradualmente l’euforia trapassa in nervosismo e sospettosità con idee paranoiche ed interpretazioni deliranti. E’ frequente l’assunzione finale di eroina per attenuare la penosità della fase depressiva (crash o crollo) successiva.
1) iperacute, da overdose, con arresto sinusale, o caduta della portata cardiaca per depressione della contrattilità miocardica analogamente agli antiaritmici della II classe o paralisi dei centri bulbari;
2) acute (dose tossica 1-2 g), caratterizzate da:
a) fase euforica - con esperienza di benessere interiore, rapidità dell’ideazione, percezione, immaginazione, loquacità;
b) fase dell’ebbrezza con ansia, iperestesia emotiva, illusioni, spunti paranoidei, allucinazioni;
3) croniche con psicosi allucinatoria e paranoidea e decadimento psichico fino al grave deterioramento irreversibile della personalità. Per gli effetti sulle catecolamine l’assunzione cronica può essere complicata da infarto miocardico, rottura di aneurismi, emorragia subaracnoidea, crisi ipertensiva, iperpiressia maligna, edema polmonare, necrosi centrolobulare epatica, necrosi tubulare acuta con insufficienza renale, ecc.
Il particolare effetto autolimitante della cocaina sui neurotrasmettitori sembra non consenta una tolleranza per la cocaina, anche se alcuni soggetti arrivano ad usare dosi cospicue (5-6 g). A parte la sintomatologia depressiva ed astenica che provoca desiderio estremo non vi sono dei chiari segni organici di astinenza; l’OMS infatti ha introdotto per la cocaina il termine di neuroadattamento, che sottintende una modifica dei processi neurofisiologici cerebrali con crisi di astinenza a manifestazione psichica.
Pur in assenza di sintomi fisici da astinenza, l’impulso psichico a riusare la droga è ancora più forte di quello dell’eroinomane, da cui deriva un maggiore valore criminogeno di questa tossicomania.
La ricerca della cocaina si può effettuare sia nel sangue che nell’urina, così come, in caso di morte, nei visceri, mediante tecniche immunoenzimatiche o radioimmunochimiche.
Il crack
E’ cocaina di sintesi che si fuma in pipe speciali, i cristalli si spezzano al calore provocando il suono da cui deriva il nome.
La sua azione si instaura assai rapidamente, dopo pochi secondi, ed altrettanto rapidamente si instaura la fase down successiva: da una condizione di euforia incontrollabile il soggetto passa ad una condizione di depressione e spossatezza marcate.
La rapidità degli effetti è alla base di una sorta di esperienza orgasmica, ma porta ad una rapida dipendenza psichica con precoci e gravi sintomi psichici e fisici (insonnia, convulsioni, ecc.). E’ perciò una delle droghe più pericolose anche per la forte accelerazione in senso criminogeno.
Intossicazione da canapa indiana, marijuana ed hashish.
La Cannabis (sativa, indica e ruderalis) è una pianta originaria dell’Asia Centrale.
La canapa indiana è costituita in gran parte dalle inflorescenze femminili essiccate.
In Oriente e nel Nord Africa la resina estratta dai fiori viene chiamata Hashish.
Negli Stati Uniti si usa invece il termine marijuana per indicare una qualsiasi parte della pianta o un suo estratto.
Le foglie ed i fiori essiccati e sminuzzati o le tavolette di Hashish (giallo-marrone o nero-verdastro) sbriciolate vengono utilizzate dai tossicomani miscelate al tabacco per confezionare i cosiddetti spinelli dal caratteristico odore di erba o corda bruciata.
Il principio attivo è il tetraidrocanabinolo, da 5 a 20 volte più concentrato nell’Hashish e soprattutto nell’olio di Hashish, di cui basta spalmarne una goccia in una cartina di comune sigaretta.
Uso voluttuario
Se la droga è fumata o inalata gli effetti si manifestano dopo pochi minuti e la loro durata è di due-quattro ore; se ingerita gli effetti sono più lenti e duraturi (fino a otto ore).
La canapa agisce sul cervello provocando uno stato di ebbrezza, con senso di benessere e felicità, allucinazioni uditive e visive per lo più a contenuto piacevole, seguite da un sonno riposante e tranquillo.
La sensibilità dolorifica diminuisce o scompare, quella tattile si ottunde. A dosi elevate (oltre 20-30 mg) sono state descritte delle forme deliranti pseudo-schizofreniche con stati di panico o sensazione di morte.
Sono rare le manifestazioni da astinenza, mentre sicuramente si ingenera una certa tolleranza. Descritte anche bronchiti croniche e asma da inalazione. Se la tossicità farmacologica è bassissima, non è da ignorare la pericolosità comportamentale per l’alterazione delle funzioni percettivo-cognitive e dell’abilità psicomotoria che favorisce gli sinistri stradali e gli infortuni lavorativi secondari.
E’ controverso che l’uso di canapa rappresenti davvero un preludio, in soggetti psichicamente labili, al passaggio a droghe "pesanti", forse anche perché gli ambienti di smercio e consumo di droghe leggere e pesanti sono gli stessi.
Intossicazione da anfetamine (o amfetamine).
Sono la dl-anfetamina o simpamina o benzidrina, la d-anfetamina o dexidrina e la metanfetamina o pervitin o metadrina. Sono farmaci simpaticomimetici di sintesi con una potente azione stimolante sul Sistema Nervoso Centrale ed azioni periferiche sugli alfa e beta recettori dell’adrenalina e noradrenalina; sono efficaci anche se somministrati per via orale.
A livello centrale gli effetti comportano un aumento della vigilanza e dell’attenzione, un’esaltazione dell’umore fino all’euforia, un aumento della fiducia in se stesso, una maggiore fluidità della parola e della capacità di concentrazione, insonnia, depressione dell’appetito e marcata riduzione del senso di fatica muscolare.
Gli effetti periferici sono blandi ed incostanti, consistono in broncodilatazione, ipertensione arteriosa, rilassamento gastro-intestinale, contrazione dello sfintere vescicale.
Uso terapeutico
Vengono impiegate per i loro effetti centrali nella obesità, nella narcolessia, nel parkinsonismo, nelle sindromi depressive, nelle turbe comportamentali e nel piccolo male epilettico, inoltre, in associazione con altri farmaci, possono essere utilizzate nel trattamento delle intossicazioni da farmaci neurodepressivi, come i barbiturici.
Uso voluttuario
L’euforia indotta dall’anfetamina è simile a quella della cocaina: aumenta il senso di sicurezza di sé, migliora il rendimento fisico e psichico; la tolleranza è notevole, si manifesta dopo un periodo relativamente breve ed induce i consumatori all’assunzione di dosi crescenti, talora elevate (parecchi grammi), anche per via endovenosa.
L’aumento delle prestazioni fisiche e la riduzione del senso di fatica a spese delle energie di riserva individuali hanno motivato l’impiego di queste sostanze in ambito sportivo con conseguenze talora mortali. L’uso delle anfetamine è stato pertanto dichiarato illecito e con la legge 1099 del 26/10/71 sono state previste le sanzioni sportive per l’assunzione di sostanze che esaltino le performances degli atleti e per coloro che somministrano tali sostanze. Il Decreto Ministeriale 7862 del 5/7/75 elenca tali sostanze.
Effetti tossici. Sono in genere una esagerazione delle azioni terapeutiche.
a) neurologici: irrequietezza, insonnia, tremori, iperreflessia, irritabilità, aggressività, aumento della libido, allucinazioni, delirio paranoideo, ansia, panico, tendenza al suicidio ed all’omicidio, fatica e depressione.
b) cardiovascolari: pallore, cefalea, senso di freddo, palpitazioni, ipertensione, extrasistolia ed altre aritmie, angor, collasso cardiocircolatorio.
c) gastroenterici: secchezza delle fauci, anoressia, nausea, vomito e diarrea. Convulsioni e coma sono in genere gli eventi terminali; le emorragie cerebrali sono i principali reperti anatomici riscontrabili.
La dipendenza psichica può essere molto forte, quella fisica, quando presente, può causare una sindrome da astinenza con sonnolenza, depressione marcata del tono dell’umore, aumento dell’appetito; l’improvvisa interruzione di dosi elevate può tuttavia creare disturbi paradossi del sonno: il soggetto rimane sveglio anche diversi giorni di seguito.
Ecstasy (o estasi).
Chimicamente è una meta-anfetamina metilene diossido, sintetizzata in Germania nel 1914, ma diffusa solo di recente sul mercato. Come struttura chimica è simile agli allucinogeni, ma non produce il caratteristico viaggio psichedelico.
Agisce selettivamente sulla serotonina, uno dei neurotrasmettitori del cervello, riducendone le concentrazioni per alcune settimane anche dopo una singola dose. Da questo deriva la sua particolare pericolosità, in quanto può provocare danni irreversibili a carico dei neuroni serotoninergici del cervello.
Viene considerata oggi l’anfetamina di più largo consumo in Europa ed in Italia ed è ritenuta responsabile di gran parte delle cosiddette "morti del sabato sera", cioè degli incidenti automobilistici mortali che colpiscono i giovani all’uscita dalle discoteche.
Intossicazione da allucinogeni.
Rientrano in questo gruppo numerose sostante sintetiche o di origine vegetale.
Peyote o peyotl.
Il nome di questa sostanza in linguaggio azteco significa bozzolo e deriva da un cactus del Messico, Lophophora Williamsii, a crescita ipogea, salvo una sporgenza a forma di bottoncino nella quale sono contenuti vari alcaloidi; di questi il principale è la mescalina, dal nome degli Apaches Mescalero delle grandi pianure, i quali avevano sviluppato un rito religioso connesso al peyotl.
Ancora oggi il peyotismo è una religione diffusa tra diverse tribù degli Stati Uniti, in prossimità della frontiera messicana; secondo tale religione Dio ha immesso una parte del Suo Santo Spirito nel peyotl, che viene consumato durante il rito analogamente al pane ed al vino sacramentali del culto cristiano.
Dietilamide dell’Acido Lisergico (LSD). Storia. L’LSD fa parte degli alcaloidi della segale cornuta (Claviceps purpurea), un fungo parassita della segale e di altre graminacee; esso sostituisce tutto l’interno del seme costituendo un corpicciolo ricurvo di colore porpora, detto sclerozio: è questo un vero scrigno di principi farmacologici, molti dei quali peculiari e non ottenibili da altre sorgenti vegetali, che agiscono provocando contrazioni uterine, spasmi prolungati dei vasi periferici ed alterazioni nervose.
La sua pericolosità era nota agli Assiri ed ai Persiani; i Greci esclusero la segale dall’alimentazione, nell’Impero Romano fu introdotta in era cristiana. Solo nel Medio Evo sono descritte epidemie caratterizzate da gangrena delle mani e delle braccia, dei piedi e delle gambe (Fuoco Sacro o fuoco di S. Antonio), aborti, sintomi nervosi con convulsioni, emiplegie e stati confusionali.
Riconosciuta la causa delle epidemie nel 1670, queste hanno continuato a ripetersi anche nel nostro secolo (Russia 1926, Irlanda 1929, Francia 1953).
Oggi il commercio della segale è rifiutato se più dello 0,3% del seme risulta infetto.
Gli insoliti effetti psicologici dell’LSD furono scoperti incidentalmente nel 1943 da Hofmann, mentre ne studiava gli effetti ossitocici (contrazioni uterine, parto pilotato o accelerato, controllo delle emorragie post-partum).
Il composto si può presentare sotto forma di un liquido incolore, simile all’acqua, oppure sotto forma di piccoli cristalli bianchi e si trova distribuito nel commercio clandestino in piccole ampolle, in capsule gelatinose, in compresse o spalmata sui francobolli.
Altri allucinogeni di origine vegetale. Psilocibina. E’ un alcaloide contenuto in alcuni funghi del genere psilocibe (Perù), da cui trae il nome. Si trova distribuito sotto forma di polvere cristallina o di liquido. Può essere somministrata
per via intramuscolare o sottocutanea a dosi fra 8-10 mg. Gli effetti sono simili a quelli prodotti da assunzione di LSD.
DMT. E’ NN-dimetiltriptamina di origine vegetale; si ottiene dalla polverizzazione dei semi di Piptadonia peregrina o macrocarpa, arbusti leguminosi che crescono nelle Antille e nell’America del Sud. A dosi di 50-100 mg produce effetti di breve durata, ma intensi. Ibogaina. E’ estratta dai semi della Tabernanthe iboga, che contiene 12 o più alcaloidi, quasi tutti ad azione allucinogena. Altri allucinogeni di origine sintetica. STP o DOM.2,5 è la dimettossi-4 metil-anfetamina; TMA è la 3-4-5 trimetossianfetamina; PMA, parametodianfetamina; producono effetti allucinogeni simili alla mescalina, ma a dosi inferiori: già a dosi di 1-15mg/ Kg sono 50 volte più potenti della mescalina. Il 7360 R.P. è il più recente allucinogeno completamente di sintesi: si tratta di un fenotiazinico (vicino al Ditran) non in commercio; provoca intensi stati confuso-onirici anche per la durata di qualche giorno. Fenciclidina (PCP). Fu inizialmente studiata come farmaco ad azione anestetica ed analgesica. Gli effetti collaterali costituiti da notevole agitazione, delirio ed allucinazioni ne bloccarono la produzione, vendita ed impiego nel 1965, quando già era popolare come droga di abuso. Dagli U.S.A. si diffuse verso gli stati orientali spesso in associazione con altri allucinogeni o altre sostanze stupefacenti.
Il quadro confusionale o di delirio prodotto dall’intossicazione acuta da PCP induce spesso il clinico alla errata diagnosi di reazione psicotica acuta. Frequenti i casi di suicidio, omicidio ed annegamento attribuiti a questa sostanza. La droga produce i suoi effetti dopo 2-5 minuti dall’inalazione (fumo di marijuana o prezzemolo cosparsi di PCP) o sniffing ed entro 20 minuti dall’ingestione orale, di solito durano 3-8 ore, ma possono perdurare fino a oltre 60 ore .
Uso voluttuario
L’allucinogeno più attivo è l’LSD, che agisce a dosi di microngrammo (milionesimi di grammo). Se usate in dosi limitate, pur producendo gli effetti psicosensoriali tipici, non compromettono totalmente la capacità di critica, per cui i soggetti riconoscono l’artificiosità delle esperienze allucinatorie; a dosi maggiori tuttavia perdono la consapevolezza della realtà.
Le sensazioni principali sono quelle di estrema leggerezza del proprio corpo fino all’illusione di volare, del tempo che corre più velocemente, di immagini distorte ad occhi chiusi come quella riflessa sull’acqua increspata, di colori più brillanti, di spazi più ampi; possono apparire immagini della vita passata con grande nitidezza.
Il pericolo da sovradosaggio è la perdita del controllo delle proprie associazioni mentali con depersonalizzazione, disorientamento temporo-spaziale, stati deliranti; le alterazioni dello schema corporeo, con fenomeni di lievitazione e di precipitazione, possono avere conseguenze mortali.
La durata degli effetti varia dalle 8-12 ore per l’LSD a 2 ore per la DMT.
La dipendenza da allucinogeni è soprattutto di tipo psichica, cioè si determina l’esigenza di rivivere le esperienze provate alla prima assunzione, senza effetti fisici spiacevoli allorché se ne sospende
l’uso, tuttavia è sufficiente la dipendenza psichica per condurre all’instaurazione di pericolose intossicazioni croniche.
L’LSD agisce a dosaggi talmente bassi (25 microngrammi) per cui risulta estremamente difficoltoso il rilevamento di tracce del tossico nei liquidi organici e nei tessuti.
Psicofarmaci
Il termine si riferisce a sostanze usate a scopo terapeutico in clinica psichiatrica:
??farmaci ipnotici barbiturici e non barbiturici;
??neurolettici o neuroplegici o tranquillanti maggiori (reserpina, fenotiazine, butirrofenoni, tioxanteni, benzamidi, ecc.):
a) sedativi, tipo levopromazina (terapia agitazione psicomotoria; sindromi depressive, psicosi da allucinogeni, ecc.);
b) incisivi tipo flufenazina (schizofrenia, stati allucinatori);
??tranquillanti o sedativi non ipnotici o tranquillanti minori o ansiolitici (benzodiazepine, meprobamati);
L’abuso crescente di psicofarmaci riconosce molteplici ragioni, quali il modo a volte "disinvolto" con cui vengono prescritti, specie quando si tratta di benzodiazepine; la frettolosità con cui si preferisce mettere a tacere determinate condizioni di disagio psichico, ricorrendo allo psicofarmaco, piuttosto che al dialogo; l’eccessivo numero di richieste di assistenza a fronte della cronica carenza di personale di molti servizi psichiatrici territoriali; la frequente autoprescrizione di tranquillanti, ecc.
I barbiturici.
L’interesse per questo gruppo di sostanze è andato diminuendo con la diffusione delle benzodiazepine, dimostratesi più sicure ed efficaci di qualsiasi barbiturico.
Uso terapeutico
Trovano tuttora impiego quali antiepilettici ed anticonvulsivi, sedativi, nella medicazione anestetica di base.
Uso voluttuario
I consumatori in genere ne iniziano l’uso a seguito di prescrizione medica e lo proseguono anche dopo che tali indicazioni sono cessate.
Gli effetti ricordano quelli ebbrezza alcolica con disinibizione emotiva, distacco dalla realtà, atteggiamento sonnolento, talora euforico; diventano più marcati con l’assunzione contemporanea anche di modiche quantità di alcool che può quindi facilitare avvelenamenti mortali.
Con l’uso cronico possono osservarsi fenomeni di accumulo con gravi disturbi mentali sino a veri e propri quadri di psicosi tossica (barbiturismo cronico).
I barbiturici provocano dipendenza psichica e fisica, nonché tolleranza, col risultato che l’aumento delle dosi possono portare a livelli ematici letali: la sospensione può accompagnarsi, ma in minor casi rispetto agli oppiacei, a sintomi da astinenza anche gravi.
Le convulsioni che compaiono durante la crisi non sono trattabili con nessun’altra sostanza se non ricorrendo ad un altro o allo stesso barbiturico.
Fenomeno dell’hangover (o della post-sbornia). Consistono in una depressione generalizzata del S.N.C. con turbe dell’iniziativa, dell’orientamento, ecc. che si manifestano ancora nel giorno successivo a quello dell’assunzione. Eccitazione paradossa. In alcuni soggetti la somministrazione del barbiturico è seguita da fenomeni di eccitazione psico-motoria invece che da depressione.
Effetti di sommazione depressiva. Derivano dall’assunzione contemporanea al barbiturico di alcool o antistaminici. In genere l’avvelenamento persegue finalità suicidiarie, talvolta però è difficile escludere l’errore, soprattutto in soggetti anziani e con insonnia ostinata, i quali, dopo una prima assunzione, entrano in uno stato confusionale e non serbano ricordo della prima assunzione.
Tranquillanti minori Meprobamato.
Non è quasi più usato. L’overdose è caratterizzata clinicamente da depressione del circolo con ipotensione più o meno grave sino a quadri di shock.
Benzodiazepine.
L’ingestione di dosi massive di benzodiazepine non è risultato letale, tuttavia l’assunzione contemporanea di altri farmaci depressori del S.N.C. può causare la morte. Di recente è stato sintetizzato un antagonista specifico delle benzodiazepine (RO 15-1788, annexate) che spiazza le benzodiazepine dai recettori specifici.
Anche le benzodiazepine possono produrre stati di dipendenza fisica e psichica, fenomeni di tolleranza agli effetti del farmaco, nonché crisi astinenziali nel caso di brusca sospensione.
Timolettici.
Sono psicofarmaci ad azione elettiva negli stati depressivi.
Antidepressivi triciclici.
Sono usati particolarmente nel trattamento della depressione endogena con inibizione e rallentamento psicomotorio (elettivamente nelle forme monopolari).
Determinano un innalzamento della serotonina e della noradrenalina a livello delle strutture deputate al controllo della affettività (sistema limbico, corteccia cerebrale) con sblocco della depressione; viceversa la loro somministrazione a soggetti normali provoca generalmente depressione e non eccitazione psichica; frequenti sono alcuni effetti collaterali anticolinergici, come ipotensione ortostatica, secchezza della bocca, stipsi, tremori, tachicardia, aritmie, dilatazione pupillare.
La somministrazione prolungata non dà in genere tolleranza, ma si instaura una modesta dipendenza fisica e psichica.
Poiché è modesto il margine di sicurezza fra dosaggio terapeutico e dosaggio letale, qualsiasi sovradosaggio può essere pericoloso quod vitam e si manifesta con oliguria, ritenzione urinaria, confabulazione, disartria, atassia, ipertonia muscolare, tremori, convulsioni, disturbi respiratori, aritmie cardiache. Nei casi letali, la morte si verifica per fibrillazione ventricolare o arresto respiratorio.
Residui del farmaco restano aderenti alle pareti dello stomaco.
Inibitori delle monoaminossidasi (IMAO).
Il loro effetto antidepressivo si esplica sotto forma di una stimolazione anfetaminosimile. Tali farmaci bloccano alcuni enzimi, centrali e periferici, con un conseguente aumento di noradrenalina. dopamina e serotonina cerebrali e cardiache. I pazienti trattati con IMAO avvertono immediatamente una riduzione della stanchezza, un miglioramento delle prestazioni, mentre la depressione si riduce. L’impiego è limitato esclusivamente a soggetti che non rispondono o non tollerano altri antidepressivi. L’avvelenamento acuto, fra i più gravi di tutti quelli riportati per ogni altra categoria di psicofarmaci, è, da un punto di vista sintomatologico, assai simile a quello da triciclici.
La sospensione della cura deve avvenire in modo lento e graduale, se avviene bruscamente possono osservarsi crisi ipertensive da astinenza; crisi ipertensive , anche mortali, possono verificarsi in caso di assunzione, durante trattamento con IMAO, di cibi fermentati contenenti tiramina (alcuni formaggi, birra e vino rosso).
Droghe improprie.
Varie sostanze, tipo solventi o colle, se inalati provocano una specie di ebbrezza euforica per eccitamento del S.N.C. (etere, benzina, cherosene, insetticidi, spray, ecc.). Possono determinarsi fenomeni allucinatori, disturbi della memoria, confusione, quindi stato di sonnolenza e rilassamento. E’ possibile l’instaurarsi di una dipendenza fisica con crisi di astinenza caratterizzate da crampi muscolari dolorosi e delirium tremens. I danni epatici, polmonari e talvolta cerebrali, possono essere assai rilevanti.
Nicotina e tabagismo.
La nicotina è un alcaloide contenuto nelle foglie di tabacco (Nicotina tabacum e rustica) e ne costituisce dall’1 al 10% del peso secco, a seconda della qualità.
E’ uno dei veleni più potenti, bastano infatti 30 mg per uccidere un uomo in pochi minuti per paralisi dei muscoli respiratori.
Agisce come stimolante del S.N.C. e degli apparati cardio-vascolare e gastrointestinale.
Provoca dipendenza psicologica e solo raramente una dipendenza fisica con possibile crisi da astinenza caratterizzata da vomito, tremori, inappetenza, ecc.
Vent’anni fa una sigaretta conteneva fino a 3 mg di nicotina, quelle attuali, con i nuovi sistemi di filtro, solo 1 mg; è rara perciò l’intossicazione acuta, anche perché la nicotina viene rapidamente metabolizzata dal fegato e l’inalazione avviene a dosi refratte durante la giornata.
L’intossicazione cronica, viceversa ben più frequente, è caratterizzata da cefalea, disturbi visivi, sudorazioni, talvolta convulsioni, ipertensione arteriosa, tachicardia, aritmie, dolori addominali, diarrea, gengiviti e lesioni ulcerative orali. Notevolmente aumentato è il rischio di infarto miocardico, di enfisema polmonare e di ictus cerebri.
Il catrame del tabacco contiene innumerevoli sostanze cancerogene per il cavo orale, il faringe, l’esofago ed i polmoni.
Dannosa è infine la nicotina sul feto, potendo provocare complicanze della gravidanza fino alla morte del feto, ovvero danni intellettivi, disturbi della crescita e caratteriali irreversibili.
Legislazione in tema di stupefacenti.
Le norme legislative in Italia sono state emanate con sensibile ritardo rispetto alle disposizioni della "Convenzione Internazionale sull’oppio" (AIA 1912), ratificate solo dal R.D.L. n. 335 del 09.02.1922.
Con tale decreto il Governo veniva autorizzato ad emanare apposite norme in materia di droga, quale la L. n. 396 del 18.02.1923, che puniva la vendita, la somministrazione al pubblico e la ritenzione per venderle o somministrarle di cocaina, morfina, loro composti o derivati, ecc. da parte di chiunque non fosse autorizzato.
A tali norme hanno fatto seguito il R.D. n. 1086 del 01.04.1929, gli artt. 446, 447 e 729 del Codice Penale (1931), il T.U. delle Leggi di PS (1931) e delle Leggi Sanitarie (R.D. n. 1265 del 27.07.1934).
Nel dopoguerra vi è stato un inasprimento delle disposizioni legislative compendiate dalla L. 1041 del 22.10.1954. Solo con la L. 685 del 22.12.1975 si ebbe un aggiornamento legislativo che, con alcune modifiche successive, è approdato al D.P.R. n. 309 del 09.10.1990, che rappresenta la legislazione attuale, fatte salva l’abrogazione referendaria 18.04.1993.
La L. 685/75 stabiliva, fra l’altro, la non punibilità della detenzione per uso personale terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope, purché la quantità detenuta non eccedesse la necessità della cura, nonché la non punibilità nel caso di detenzione per uso personale non terapeutico purché si trattasse di modica quantità. Quest’ultimo concetto ha agito in modo perverso agevolando la diffusione e lo spaccio degli stupefacenti, rimanendo sostanzialmente impunito lo spacciatore.
La L. n. 162 del 26.06.1990 sanciva il principio della illiceità della detenzione anche di modiche quantità ed a qualsiasi titolo di sostanze stupefacenti. Giudicata eccessivamente severa, la L. 309/90
ha introdotto il concetto di dose media giornaliera, fissata con apposito decreto ministeriale per ogni sostanza.
Con il Referendum del 18 aprile 1993 la detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope è oggi penalmente lecita, senza limiti quali-quantitativi, purché solo ed esclusivamente per uso personale. In casi particolari è prevista l’applicazione di sanzioni amministrative, ma non più seguite da misure di prevenzione criminale, allorché il tossicodipendente non si sottoponga o rifiuti la cura (commi 1 e 12, art. 75).
Dell’art. 2 è stato abrogato il comma 1, lettera e) punto 4 e pertanto è consentito l’uso di farmaci sostitutivi, che dovevano, secondo il D.P.R. 309, essere stabiliti con Decreto del Ministero della Sanità;
l’art. 76, infine, prevedeva l’intervento dell’autorità giudiziaria dopo la detenzione per uso personale, per la terza volta, di quantità inferiori alla dose giornaliera: è stato abrogato.
Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.
I servizi di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza sono inseriti nel contesto operativo delle UU.SS.LL. e l’elenco di centri e di comunità di recupero, fornito dall’Osservatorio permanente sul fenomeno droga, è periodicamente aggiornato.
? l’istituzione del Comitato Nazionale di Coordinamento per l’azione antidroga (art. 1), affiancato dall’Osservatorio permanente sul fenomeno droga (art. 132, comma 4), con la funzione di definire la politica generale di prevenzione e di intervento contro la diffusione illecita di sostanze stupefacenti e detta le direttive per l’acquisizione dei dati:
a) sull’entità della popolazione tossicodipendente, anche con riferimento alla tipologia delle sostanze assunte;
b) sulla dislocazione e sul funzionamento dei servizi pubblici e privati operanti nel settore della cura e riabilitazione;
c) sui tipi di trattamento praticati e sui risultati conseguiti.
? L’istituzione presso il Ministro della Sanità del Servizio Centrale per le dipendenze da alcool e sostanze stupefacenti (art. 3), con funzioni di coordinamento ed articolato in almeno quattro settori che si occupino di sostanze stupefacenti o psicotrope, prevenzione dell’AIDS e delle patologie correlate fra i tossicodipendenti, alcoolismo e tabagismo (art. 4).
? L’utilizzazione del Servizio Centrale antidroga, già istituito nell’ambito del Dipartimento di Pubblica Sicurezza ai sensi dell’art. 35 della L. 121/81, da parte del Ministro dell’Interno, per il coordinamento e la pianificazione delle forze di polizia e di alta direzione dei servizi di polizia per la prevenzione e la repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 10).
? L’istituzione dei Centri di informazione e consulenza nelle scuole (art. 106) e di formazione e di informazione per i giovani alle armi (art. 107).
? L’istituzione del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga (art. 127).
La classificazione delle sostanze stupefacenti.
Confermando la precedente normativa il T.U. ha operato una classificazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope suddividendole in sei tabelle (artt. 13 e 14).
Tabella I Tabella II Tabella III
effetto antiepilettico e quelli impiegati quali anestetici
Tabella IV Tabella V Tabella VI
l’antiepilettico dintoina, analgesici non stupefacenti,
Norme sulla prescrizione degli stupefacenti.
Delle sostanze elencate nelle tabelle I-III sono in commercio, evidentemente per uso terapeutico, solo alcune preparazioni a base di morfina e metadone; per la loro prescrizione deve essere utilizzato un apposito ricettario a madre-figlia, predisposto dal Ministero della Sanità, firmato dal sanitario su ciascuna ricetta all’atto del ricevimento; la sottoscrizione deve essere ripetuta all’atto della prescrizione e consegna al paziente. Ciascuna prescrizione deve essere limitata ad una sola preparazione o ad un dosaggio per cura di durata non superiore agli otto giorni, ridotta a tre per l’uso veterinario (art. 43).
I medicinali inclusi nella Tabella IV sono prescrivibili sulle ricette personali del medico, indicando però tutti i dati anagrafici del paziente, il suo indirizzo, il numero e le caratteristiche della confezione, le modalità ed il numero delle somministrazioni (scritto in lettere).
I farmaci delle tabelle V e VI sono prescrivibili su ricetta semplice.
Illeciti amministrativi e penali di interesse medico-legale in materia di tossicodipendenza.
L’art. 38 vieta ai produttori la fornitura ai medici chirurghi ed ai veterinari di campioni di farmaci delle tabelle I, II e III.
L’art. 42 definisce le modalità di acquisto di preparazioni di sostanze stupefacenti o psicotrope da parte di medici nella quantità occorrente per le normali necessità di ospedali, ambulatori, istituti e case di cura.
L’art. 43 modalità di prescrizione di tali farmaci.
L’art. 44 pone il divieto di consegnare sostanze stupefacenti a minori o infermi di mente.
Dell’art. 72, abrogato il divieto dell’uso personale di sostanze stupefacenti di cui alle tabelle I, II, III e IV, rimane in vigore il comma 2, che consente l’uso terapeutico dei preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope, debitamente prescritte secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto.
L’art. 83 stabilisce che le pene previste dall’art. 73 si applicano a carico del medico chirurgo o del veterinario che prescrivono sostanze stupefacenti o psicotrope per uso non terapeutico. Dopo che il referendum abrogativo ha sottratto al Ministro della Sanità il compito di stabilire con decreto i limiti e le modalità di impiego dei farmaci sostitutivi della terapia del tossicodipendente, questo articolo sembrerebbe applicabile solo in caso di improbabile prescrizione di farmaci non in commercio, visto che la stessa morfina potrebbe essere assunta in sostituzione dell’eroina. Tuttavia sussiste un vincolo di carattere generale, e il Ministero della Sanità si è affrettato a precisarlo, che impone di utilizzare per finalità terapeutiche sostitutive i soli farmaci che siano destinati a tale impiego nel decreto ministeriale che ne autorizza la immissione in commercio.
Illeciti amministrativi e penali di intere sse generale in materia di tossicodipendenza.
L’art. 73 stabilisce la pena da 8 a 20 anni e la multa da 50 a 500 milioni per chiunque, senza autorizzazione, produce, vende o detiene, fuori dalle ipotesi previste dagli art. 75 e 76, sostanze stupefacenti o psicotrope.
L’art. 75 stabilisce le sanzioni amministrative per chiunque importa, acquista o detiene sostanze stupefacenti o psicotrope per farne uso personale.
Le sanzioni sono la sospensione della patente di guida, della licenza del porto d’armi e del passaporto e possono esse pure essere sospese dal prefetto se l’interessato accetta di sottoporsi volontariamente al programma terapeutico e socio-riabilitativo previsto dall’art. 122.
L’art. 77 prevede una sanzione amministrativa per chiunque abbandona siringhe o altri strumenti pericolosi, mettendo a rischio l’incolumità altrui.
L’art. 79 contempla il delitto di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, punibile con la reclusione da tre a dieci anni; il successivo art. 80 elenca le aggravanti del delitto, mentre l’art. 81 l’attenuante specifica della prestazione di soccorso in caso di pericolo di morte o lesioni dell’assuntore.
L’art. 82 riguarda l’istigazione, il proselitismo e l’induzione al reato di persona minore, delitto punito con la reclusione da uno a sei anni.
Accertamento dell’uso abituale diagnosi di tossicodipendenza.
Art. 78 - Con decreto del Ministro della sanità sono determinati:
a) le procedure diagnostiche e medico-legali per accertare l’uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope;
b) le metodiche per quantificare l’assunzione abituale nelle ventiquattro ore;
c) i limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie giornaliere (superfluo dopo Referendum).
In proposito il D.M. 12/7/1991, n 163 stabilisce:
art. 1, l’accertamento dell’uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope si fonda su:
a) riscontro documentale di trattamenti socio-sanitari per la tossicodipendenza presso strutture pubbliche e private, di soccorsi ricevuti da strutture di P.S., di ricovero per patologie correlate all’abuso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope, di precedenti accertamenti medico-legali;
b) segni di assunzione abituale della sostanza stupefacente o psicotropa (iniezioni ripetute);
c) sintomi fisici e psichici di intossicazione in atto;
e) presenza di sostanze stupefacenti e/o loro metaboliti nei liquidi biologici e/o nei tessuti;
art. 2, le metodiche per quantificare l’assunzione abituale nelle 24 ore.
a) procedure diagnostiche e medico-legali di cui all’art. 1;
b) valutazione clinico-funzionale del grado di dipendenza e/o dell’intensità dell’abuso finalizzata a stimare in termini quantitativi la dose abituale assunta nelle 24 ore. Le indagini sono svolte in strutture pubbliche, adeguatamente attrezzate, in condizione di sicurezza clinica e con l’esclusione, ai fini della suddetta stima, del ricorso a metodiche invasive.
Per il riconoscimento di un uso personale di stupefacenti si dovrà quindi esaminare:
1) ambito socio-culturale di estrazione con particolare riferimento all’ambiente familiare, scolastico e di lavoro ed al modo di vita;
2) precedenti penali o sanitari legati ad esperienza tossicofilica;
3) riscontro all’obiettività di segni di iniezioni ripetute, di perforazione del setto nasale o di irritazioni della mucosa nasale, del manifestarsi di una eventuale sindrome di astinenza, della comparsa di midriasi in seguito all’instillazione congiuntivale di naloxone;
4) determinazione al laboratorio di stupefacenti o loro metaboliti nel sangue o nelle urine.
I tests di provocazione o gli esami sui liquidi biologici devono avere il preventivo consenso del soggetto, che ha comunque interesse a dimostrare l’uso personale degli stupefacenti che deteneva.
Organizzazione dei servizi di prevenzione cura e riabilitazione per le tossicodipendenze.
Il servizio pubblico per le tossicodipendenze (SERT), organizzato presso le AA.SS.LL. (art. 118) è costituito da medici, psicologi, assistenti sociali, infermieri ed educatori professionali.
Deve assicurare l’assistenza completa per tutte le 24 ore e coordinare gli interventi relativi al trattamento della sieropositività e delle tossicodipendenze anche in relazione alle problematiche della sessualità, della procreazione e della gravidanza in collegamento con i consultori familiari, con le strutture assistenziali per l’AIDS e le malattie infettive, con i servizi medico-legale, d’igiene mentale e di laboratorio analisi oltre che con altri SERT o servizi di assistenza ai tossicodipendenti.
L’art. 120 (terapia volontaria ed anonimato) stabilisce che chiunque, anche il minore o il suo tutore, può chiedere ai SERT di essere sottoposto ad indagini diagnostiche e di essere inserito in un programma terapeutico e socio-riabilitativo.
In ogni caso il tossicodipendente, a richiesta, può beneficiare dell’anonimato nei rapporti con i servizi ed i presidi e le strutture delle AA.SS.LL.
Gli stessi medici curanti che assistono direttamente tossicodipendenti, pur non avendo più l’obbligo di inviare la scheda di segnalazione, possono richiedere l’ausilio del SERT per la definizione del programma terapeutico.
Può essere previsto un periodo di permanenza in una delle cooperative di solidarietà sociale o in un centro di recupero appositamente autorizzati, può essere disposta l’effettuazione di terapie di disintossicazione, nonché trattamenti psico-sociali o farmacologici; in ogni caso il programma deve tener conto delle esigenze di studio o di lavoro, nonché delle condizioni di vita familiare e sociale del tossicodipendente.
I dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragioni della propria professione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità (art. 200 c.p.p.).
Il tossicodipendente e le sanzioni alternative al carcere.
Fondamentale è naturalmente la terapia socio-riabilitativa del tossico-alcool dipendente, per effettuare la quale non solo vengono sospese le sanzioni amministrative, ma anche quelle penali di carcerazione (art. 88).
L’art. 89 T.U. 309/1990, così come sostituito dall’art. 5 del D. L. 13 marzo 1993, n. 60, G.U. n. 60 del 12.03.1993, e dalla L. 14 luglio 1993, n. 222, G.U. n. 163 del 14.07.1993) stabilisce:
1. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza quando imputata è una persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l’assistenza ai tossicodipendenti ovvero nell’ambito di una struttura autorizzata, e l’interruzione del programma può pregiudicare la disintossicazione dell’imputato. Con lo stesso provvedimento o con altro successivo, il giudice stabilisce i controlli necessari per accertare che il tossicodipendente o l’alcooldipendente prosegua il programma di recupero.
2. Se il tossicodipendente o l’alcooldipendente, che è in custodia cautelare nel carcere, intende sottoporsi ad un programma di recupero . la misura cautelare è revocata, sempre che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
L’art. 90 T.U. 309/1990, così come sostituito dall’art. 6 del D. L. 13 marzo 1993, n. 60, G.U. n. 60 del 12.03.1993, dispone la sospensione della pena detentiva (se non superiore ai quattro anni e per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendente) qualora si accerti che la persona si è sottoposta o abbia in corso un programma terapeutico o socio-riabilitativo, eventualmente mediante affidamento in prova al servizio sociale (art. 94), altrimenti la pena deve essere scontata in Istituti idonei allo svolgimento di programmi terapeutici e socio riabilitativi (artt. 95 e 96).
La custodia in carcere è invece ripristinata o disposta in caso di interruzione del programma o di comportamento incompatibile con la sua corretta esecuzione oppure se l’interessato non vi collabora.
La tutela del lavoratore tossicodipendente.
L’art. 124 prevede che i lavoratori che stanno seguendo un programma terapeutico-riabilitativo e socio assistenziale, se assunti a tempo indeterminato hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per tutta la durata del trattamento o comunque fino a tre anni. L’assenza è considerata ai fini normativi, economici e previdenziali come l’aspettativa senza assegni degli impiegati civili dello Stato e situazioni equiparate.
Anche i familiari di tossicodipendenti possono usufruire della stessa aspettativa per concorrere al programma socio-riabilitativo.
L’art. 125 precisa che gli appartenenti alle categorie di lavoratori destinati a mansioni che comportano rischi per la sicurezza, la incolumità e la salute di terzi, individuate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, sono sottoposti, a cura di strutture pubbliche nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e a spese del datore di lavoro, ad accertamento di assenza di tossicodipendenza prima dell’assunzione in servizio e, successivamente, ad accertamenti periodici.
In caso di risultati positivi il datore di lavoro è tenuto a far cessare il lavoratore dall’espletamento della mansione che comporta rischi per la sicurezza , l’incolumità e la salute di terzi.
Il comma 4, art. 124 d’altra parte stabiliva anche: "Sono fatte salve le disposizioni vigenti che richiedono il possesso di particolari requisiti psico-fisici attitudinali per l’accesso all’impiego, nonché quelle che, per il personale delle Forze armate e di polizia, per quello che riveste la qualità di agente di pubblica sicurezza e per quello cui si applicano i limiti previsti dall’art. 2 della legge 13 dicembre 1986, n. 874, disciplinano la sospensione e la destituzione dal servizio."
La norma appare in contraddizione ad esempio con gli artt. 5 e 6 della L. 135/1990, che stabilisce di non potersi sottoporre alcuna persona senza il suo consenso all’esame del sangue per accertare se si tratta di soggetto sieropositivo all’AIDS.
Va infine ricordato che il presupposto del diritto alla tutela del posto di lavoro, ai sensi dell’art 2110 c.c., resta la qualificazione come "malattia" dello stato di tossicodipendenza.
Alcuni dati statistici sulle tossicodipendenze.
Nel 1993 il numero dei decessi per overdose è calato del 28,1% rispetto all’anno precedente (rispettivamente 875 e 1217 morti). Tale riduzione è stata messa in rapporto soprattutto con l’abbassamento della percentuale di eroina (dal 25% del 1991 al 12% del 1992) sino al 3-4% nelle sostanze cosiddette da strada.
E’ in costante crescita la percentuale dei morti ultratrentenni sul totale, 404 casi nel 1993, pari al 46%.
Nel 1993 le Forze dell’ordine hanno sequestrato oltre 1.000.000 di chili di cocaina, 45.000 compresse di Ecstasy con un aumento del 113% rispetto al 1992.
Sono state sequestrati anche 624.528 chili di eroina e 11.424 chili di marijuana.
Dall’entrata in vigore della legge Iervolino-Vassalli (1990) fino al 1993 sono stati 72.119 i consumatori segnalati, 20.500 circa dei quali sono stati avviati ad una terapia di recupero; il rapporto maschi/femmine degli assistiti è 4-5:1.
Quasi il 70% dei tossicodipendenti ha un impiego.
Anche per effetto del Referendum abrogativo, che lascia alla discrezionalità del giudice la separazione tra spacciatore e semplice consumatore le persone rinviate a giudizio sono passate da 38.351 del 1992 alle 32.892 del 1993.
Ruolo ed organizzazione del Laboratorio di Farmacologia e Tossicologia clinica.
Il Laboratorio di Farmacologia e Tossicologia clinica può svolgere un importante ruolo per:
? il monitoraggio dei farmaci somministrati a scopo terapeutico;
? la diagnosi e la terapia delle intossicazioni acute e croniche;
? il controllo e la riabilitazione delle intossicazioni croniche;
? la prevenzione, il controllo e la repressione dell’uso di sostanze naturali o di sintesi vietate da norme di legge.
Con la crescente diffusione dell’alcool, delle droghe e delle sostanze psicotrope, della morbilità e mortalità ad esse correlate è emerso evidente il ruolo che il Laboratorio di Tossicologia può assumere nell’ambito di una strategia di prevenzione, controllo e riabilitazione delle intossicazioni croniche voluttarie.
Il dosaggio degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope persegue il fondamentale obiettivo di evitare al tossicodipendente in terapia il pericolo di morte o di ulteriori aggravamenti.
I campioni biologici da sottoporre ad analisi sono plasma/siero, urina, capelli per il monitoraggio delle intossicazioni voluttuarie croniche, plasma/siero, urina e vomito/aspirato gastrico o liquido di lavanda gastrica in caso di intossicazioni acute.
L’urina è indispensabile qualora lo scopo dell’analisi non sia solo clinico, ma anche medico-forense; in tale contesto il prelievo e la conservazione di sangue ed urina possono assumere un rilevante significato giudiziario, allorché sorga la necessità di valutare lo stato di intossicazione di autori di reati o delitti per definire le particolari dinamiche delittuose o in tema di imputabilità ai sensi degli artt. 91-95 c.p.
In questi casi l’indagine è decisamente "mirata" a determinate sostanze, viceversa il fine del controllo o della repressione è perseguibile mediante la conferma o l’esclusione di tutte le sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte a disciplina di legge.
La specifica natura dell’indagine, le notevole difficoltà in essa insite, la necessità di documentare la prova del risultato positivo e di motivare il risultato negativo comportano l’esclusione di tali accertamenti dalla sfera di competenza dei Laboratori di Tossicologia clinica, confinandoli in quelli di Tossicologia forense.
Ai Laboratori di Tossicologia clinica è invece attribuito il compito di definire le intossicazioni acute e croniche di rilevanza clinica e senza un particolare significato forense.
Nei casi di intossicazione acuta da oppiacei e/o anfetamine, il risultato chimico-tossicologico può assumere una semplice funzione di conferma della diagnosi "a posteriori", dovendo necessariamente aver già provveduto con antidoti sulla base clinico-anamnestica.
La variabile composizione della droga circolante nel mercato clandestino, mista a sostanze diluenti ed adulteranti dotate di attività farmacologica, l’assunzione di cocktails di droghe, alcool e farmaci, divenuta abituale fra i tossicodipendenti, porta ad intossicazioni miste con quadri clinici praticamente inestricabili senza l’ausilio del Laboratorio.
Le tecniche analitiche, attualmente più affidabili, sono la cromatografia e l’immunochimica.
Cromatografia Immunochimica
Esiste una enorme variabilità intersoggettiva nella risposta ai farmaci e non sempre si osserva una relazione lineare fra dose, livello ematico ed effetti farmacologici. La biodisponibilità di un farmaco dipende infatti dalle modalità di assorbimento e di distribuzione, legate in gran parte alle caratteristiche chimiche della sostanza, e di eliminazione, influenzata soprattutto dal grado di funzionalità epatica e renale.
La disintossicazione e la riabilitazione o recupero psicosociale possono prevedere l’utilizzo di farmaci sostitutivi a scalare (essenzialmente nelle intossicazioni da oppiacei) oppure un esclusivo approccio psicoterapico individuale o di gruppo.
Prima dell’inizio del trattamento è necessario eseguire controlli su 2-3 campioni di urina; durante il trattamento le analisi devono essere periodicamente ripetute su campioni di urina prelevati con cadenza casuale, ma almeno bisettimanale sia per identificare la dose terapeutica efficace del farmaco sostitutivo sia per controllare se il soggetto in trattamento assuma contemporaneamente altre sostanze stupefacenti non previste dai programmi di trattamento.
Le sostanze da ricercare nell’urina sono:
? la morfina, prodotto di metabolizzazione dell’eroina, della codeina e di se stessa;
? l’alcool etilico, il metadone, il naltrexone, gli anfetaminici, i barbiturici, le sostanze di taglio più frequenti (chinina, atropina, anestetici locali, stricnina, ecc.);
? le benzodiazepine (pericolose in associazione);
? la pentazocina, il propossifene, gli antidepressivi, ecc.
E’ elevata la percentuale di tossicodipendenti che prima del trattamento assumono 2 o più sostanze assieme agli oppiacei e permangono elevate tali percentuali anche in fase di trattamento sostitutivo dell’eroina; mano a mano che calano le percentuali di oppiacei aumentano quelle dell’alcool, assunto per compensare la mancata azione euforizzante dell’eroina.
Tale complessa realtà medico-tossicologica e la abituale poliassunzione di sostanze stupefacenti e/o psicotrope espongono proprio i tossicodipendenti in trattamento a pericoli di aggravamento e morte con i conseguenti problemi di correttezza e responsabilità professionali.
Morfina ed eroina. Nelle prime 48 ore, circa il 70% della dose assunta è escreta; tracce di morfina possono tuttavia essere trovate nell’urina anche oltre le 72 ore: Codeina. Adoperata come bechico, esplica un’azione depressiva sul centro della tosse e del respiro. Può essere presente nella droga da strada come residuo di impurezza o di origine dei processi di estrazione e trasformazione dell’oppio in morfina ed eroina o come prodotto di metabolizzazione delle stesse. Metadone . Lo studio delle concentrazioni plasmatiche di soggetti in terapia metadonica non ha consentito di estrapolare un range terapeutico, né una sicura correlazione con il quadro clinico. La prolungata escrezione del farmaco immodificato, anche a distanza di 4-5 giorni dall’ultima somministrazione, rende necessaria una tecnica analitica non particolarmente sensibile, ma specifica e capace di identificare il prodotto di origine dai metaboliti. Naltrexone. Potente antagonista degli oppiacei è utilizzato nella terapia sostitutiva; è attivo a concentrazioni tanto basse, che limitano l’utilità del dosaggio plasmatico per la verifica del rispetto della compliance. Anfetamine . Le attuali metodiche consentono il rilievo di tracce nell’urina a distanza di 48 ore dall’assunzione. Cocaina. Viene rapidamente metabolizzata in metilbenzoilecgonina; la presenza di concentrazioni di cocaina superiori a quelle di benzoilecgonina in campioni prelevati da paziente deceduto,
dimostra che tra assunzione e morte è trascorso un breve intervallo. Il dosaggio urinario della benzoilecgonina è un mezzo per stabilire o escludere l’uso della cocaina durante le ultime 24 ore.
Fenciclidina. I risultati analitici sui campioni di urina indicano solo l’avvenuta assunzione della sostanza, solo le indagini sul sangue possono dare indicazioni quantitative. LSD. I bassi livelli emato-tissutali rendono assai complessi i relativi dosaggi, effettuabili comunque mediante fluorimetria o tecnica radio-immunologica. Marijuana. I kits attualmente in uso consentono la ricerca del principio attivo, il tetraidrocannabinolo, il quale tuttavia si ritrova in tracce così basse (picogrammi) che la sua determinazione, in molti casi, è inficiata da positività crociata con altre componenti della matrice biologica presenti in concentrazioni di parti per bilione. Analoghi di sintesi. La produzione, lo spaccio e l’abuso di "designer drugs" e di analoghi di sintesi sono l’emergente problema di rilevanza tossicologica dei Paesi esposti alla diffusione epidemica di sostanze stupefacenti. Le notevoli difficoltà implicite nell’analisi tossicologica, soprattutto per lo straordinario numero di analoghi (circa 2.000) e per le bassissime concentrazioni, sono tali da dover riservare tale ricerca ai casi di intossicazionr acuta, nei quali non sia stata identificata alcuna causa tossica o si sia formulata una specifica ipotesi clinica. Bibliografia legislativa in materia di tossicodipendenze.
Legge 22 dicembre 1975, n. 685: Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (G.U. 30.12.1975 n. 342).
Decreto del Ministero dell’Iterno 7 gennaio 1976: Costituzione dell’Ufficio Centrale di direzione e coordinamento dell’attività di polizia per la prevenzione e repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (G.U. 14.01.1976, n. 11).
Decreto del Ministro per la Sanità del 18 novembre 1977: Determinazione delle modalità di raccolta ed elaborazione dei dati statistici relativi agli interventi terapeutici e riabilitativi in materia di tossicodipendenza da sostanze stupefacenti o psicotrope (G.U. 01.01.1978, n. 7).
Decreto del Ministero per la Sanità 10 ottobre 1980: Impiego di preparati a base di metadone e morfina per il trattamento dei tossicodipendenti (G.U. 13.10.1980, n. 281).
Legge 25 maggio 1981, n. 385: Adesione alla Convenzione sulle sostanze psicotrope, adottata a Vienna il 21.02.1981, e sua esecuzione (Suppl. Ord. G.U. 24.07.1981, n. 202, parte prima, n. 41).
Decreto del Ministero per la Sanità 10 ottobre 1984: Nuove modalità di raccolta ed elaborazione dei dati statistici relativi agli interventi terapeutici e riabilitativi in materia di tossicodipendenza da sostanze stupefacenti e psicotrope (G.U. 02. 11.1984, n. 302).
Circolare del Ministro per la Sanità 20 ottobre 1984, n. 83: Trattamento di disintossicazione da oppioidi con metadone a breve termine (G.U. 23.11.1984, n. 323).
Circolare del Ministro per la Sanità 28 maggio 1985, n. 23: Indicazioni relative a modelli operativi per la realizzazione di interventi di prevenzione delle farmaco-tossicodipendenze e di educazione alla salute (G.U. 02.07.1985, n. 154).
Circolare del Ministro per la Sanità 25 novembre 1985, n. 48: Misure di prevenzione della diffusione della sindrome da immunodeficienza acquisita tra i tossicodipendenti (G.U. 13.01.1986, n. 9).
Legge 26 giugno 1990, n. 162: Aggiornamento, modifiche ed integrazioni della legge 22 dicembre 1975, n. 685 recante la disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cure e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (Suppl. Ord. G.U. 26.06.1990, n. 147, serie generale, parte prima, n. 45).
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309: T.U. delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (Suppl. Ord. G.U. 31.10.1990, n. 255, serie generale n. 67).
Legge 5 novembre 1990, n. 328: Ratifica di esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, con annesso atto finale e relative raccomandazioni, Vienna 20.12.1988 (Suppl. Ord. G.U. 15.11.1990, serie generale, n. 71).
Decreto del Ministro per la Sanità 4 marzo 1992: Tabelle contenenti l’indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope e relative preparazioni (G.U. 25.03.1992, n. 71).
Decreto del Ministro per la Sanità 10 luglio 1992: Modificazioni al Decreto Ministeriale 23 agosto 1977 recante approvazione delle tabelle contenenti le indicazioni delle sostanze stupefacenti e psicotrope e relative preparazioni (G.U. 14.10.1992, n. 242).
Decreto del Ministro per la Sanità 27 luglio 1992: Tabelle contenenti l’indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope e relative preparazioni (G.U. 12.08.1992, n. 189).
D.L 12 novembre 1992, n. 431: Disposizioni urgenti concernenti l’incremento dell’organico del corpo di Polizia penitenziaria, il trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV, le modifiche al T.U. della legge in materia di stupefacenti e le norme per l’attivazione di nuovi uffici giudiziari (G.U. 12.11.1992, n. 267).
Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 11 febbraio 1993, n. 335 30/2: Circolare esplicativa sulle richieste di finanziamento ai sensi dell’art. 10 del D.L. 12 gennaio 1993, n. 3. Fondo Nazionale di Intervento per la lotta alla droga (Suppl Ord. G.U. 12.02.1993, n. 35, parte prima, n. 18).
Decreto del Ministro per la Sanità 19 febbraio 1993: Approvazione dello schema tipo di convenzione fra USL ed Enti, Società, Cooperative o Associazioni che gestiscono strutture per la riabilitazione dei soggetti dipendenti da sostanze stupefacenti o psicotrope; nonché approvazione dello schema di atto di intesa tra Stato e Regioni per la definizione di criteri e modalità uniformi per l’iscrizione degli Enti Ausiliari che gestiscono strutture per la riabilitazione ed il reinserimento sociale dei tossicodipendenti negli Albi di cui all’art. 116 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Suppl. Ord. G.U. 08.03.1993, n. 55, serie generale, n. 25).
Decreto del Ministero della Sanità 25 marzo 1993: Definizione della situazione di incompatibilità con lo stato di detenzione carceraria per le persone affette da infezione da HIV (G.U. 30.03.1993, n. 74).
D.L. 14 maggio 1993, n. 139: Disposizioni urgenti relativi al trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV e di tossicodipendenti (G.U. 15.05.1993, n. 112) e Comunicato di rettifica relativo al D.L. 14 maggio 1993, n. 139 (G.U. 19. 05.1993, n. 115).
Intossicazione da alcool. Definizione e generalità. L’alcolismo è uno stato di intossicazione acuta o cronica, determinata dall’abuso di bevande alcoliche.
L’intossicazione acuta può variare da una condizione di ebbrezza alcolica sino alla vera e propria ubriachezza. L’intossicazione cronica si manifesta con un lento, ma progressivo degrado fisico e psichico dell’assuntore, correlato ad uno stato di dipendenza fisica e psichica dall’alcool. L’OMS definisce l’alcoolismo come un disturbo comportamentale cronico che si manifesta con l’ingestione ripetuta di bevande alcoliche in misura eccedente gli usi dietetici e sociali della comunità e tale da interferire con la salute del bevitore o con le sue funzioni sociali o economiche.
Le manifestazioni cliniche fondamentali dell’alcoolismo cronico ricalcano quelle proprie di qualsiasi stato di tossicodipendenza.
1. il desiderio invincibile di alcoolici;
2. la tolleranza alccolica, ovvero la tendenza ad aumentare la dose per ottenere gli stessi effetti;
3. la dipendenza prima psichica e poi anche fisica nei confronti dell’alcool, con la comparsa di crisi di astinenza in caso di brusca sospensione;
4. la comparsa di disturbi comportamentali nocivi alla vita di relazione dell’alcoolista ed alla collettività.
Facendo riferimento al D.P.R. 309/1990 ed alle caratteristiche richieste per la suddivisione delle sostanze stupefacenti e psicotrope nelle sei tabelle, l’alcool dovrebbe trovare posto nella Tabella I, viceversa, benché sia fra le sostanze d’abuso più consumate in Italia (insieme al tabacco) non viene preso alcun serio provvedimento restrittivo, consentendo anzi ai mass media di consacrargli notevoli spazi pubblicitari.
Tutto ciò è dovuto probabilmente al fatto che l’Italia è la maggior produttrice di vino del mondo.
Bevande alcoliche e metabolismo dell’alcool. Le bevande alcoliche sono state impiegate fin dagli albori della storia, prima esclusivamente come prodotti naturali di fermentazione (vino, birra, sidro e idromele) e quindi a basso tasso alcolico, poi prodotti di distillazione, contenenti il 40-50% di alcool (acquavite e grappa), ed infine come prodotti artificiali dove l’alcool è miscelato a tassi molto variabili a soluzioni zuccherine, aromatizzate (amari).
L’alcool ad uso alimentare è solo quello etilico, ma spesso è in causa il metilico, per lo più di origine sintetica.
L’alcool etilico ha basso peso molecolare, elevata diffusibilità, completa miscibilità con acqua, elevata liposolubilità, per questo viene assorbito direttamente dalla mucosa gastrica ed intestinale;
la rapidità di assorbimento dipende, oltre che dalla concentrazione e quantità di alcool assunto, dallo stato di ripienezza gastrica, dalla qualità del bolo gastrico (i lipidi lo trattengono più a lungo), dall’irritazione gastro-duodenale che condiziona un eventuale spasmo pilorico. Può essere assorbito, in forma vaporizzata, attraverso i polmoni, con fenomeni tossici anche gravi.
Assorbito, l’alcool si distribuisce in tutti i tessuti e liquidi dell’organismo; dal 90 al 98% viene completamente ossidato, ad opera principalmente dell’alcool deidrogenasi epatica, ed in minima parte del sistema microsomiale di ossidazione dell’etanolo (8%) e delle catalasi (2%). In condizioni di sovraccarico, come nell’alcoolista cronico, il sistema microsomiale subisce un processo di induzione e di attivazione fino a 3-4 volte la norma.
La velocità di metabolizzazione è proporzionale al peso del fegato, e questo pone un limite alla quantità che può essere assunta in un determinato lasso di tempo senza che il soggetto divenga ebbro. Il 2-10% viene eliminato come tale (la percentuale aumenta in proporzione alla quantità assunta) da reni e polmoni, ma compare anche nel sudore, nella saliva, nelle lacrime.
La curva alcolemica è quindi caratterizzata da una rapida ascesa con un picco (60 minuti), durante l’assorbimento, e da una lenta discesa durante la fase di degradazione (diverse ore).
Manifestazioni cliniche Alcolemia ed intossicazione alcolica.
Fino a 50 mg% sono assenti segni clinici; da 50 a 150 mg% compare uno stato di euforia e di ebbrezza; da 150 a 350 mg% vi è uno stato di intossicazione da lieve a grave con evidente ubriachezza; da 350 a 800 mg% si passa da una ubriachezza avanzata ad uno stato di coma fino alla morte.
L’alcool è un deprimente del sistema nervoso centrale, inizialmente a livello corticale, con azione disinibente, e successivamente sui centri sottocorticali ed azione deprimente neurovegetativa, e vi è un marcato e pericoloso sinergismo con farmaci che agiscono pure sul sistema nervoso, come i barbiturici ed i tranquillanti.
Intossicazione alcolica acuta.
Dopo la fase iniziale dell’euforia caratterizzata da loquacità, "simpatia", sensazione di caldo da vasodilatazione, aumento della salivazione e della secrezione gastrica interviene una difficoltà della coordinazione motoria con ritardo dei tempi di reazione; successivamente la coordinazione e la sinergia dei movimenti viene gravemente compromessa con barcollamenti e perdita dell’equilibrio, compare un rallentamento psico-motorio con parola strascicata, perdita della capacità di critica, diplopia, nausea e vomito; l’ultima fase è caratterizzata da uno stato stuporoso o di coma franco, la cute è fredda e pastosa, la temperatura corporea abbassata, il respiro lento e rumoroso, compaiono midriasi e tachicardia. Dopo 8-10 ore sono frequenti le polmoniti ipostatiche e l’aumento di pressione endocranica.
Il quadro anatomo-patologico è caratterizzato da una diffusa congestione viscerale, particolarmente a carico dell’encefalo, dei polmoni e della mucosa gastro-intestinale. Frequente il riscontro di degenerazione grassa del fegato e fenomeni degenerativi a carico del miocardio, dei reni e della sostanza nervosa.
Le ricerche sul cadavere prevedono innanzitutto il prelievo di campioni ematici da distretti lontani dall’addome per evitare la contaminazione dei risultati per diffusione di alcool direttamente dal tubo digerente. La determinazione nei visceri (encefalo) assume un carattere di conferma di una diagnosi di intossicazione alcolica, anche perché dipende dallo stato di idratazione, dalla produzione per processi di fermentazione microbica, dall’ossidazione per residua attività cellulare, dalla diffusione diretta dal tubo digerente.
La diagnosi di intossicazione alcolica acuta è attualmente oggetto di leggi in materia di guida di automezzi in stato di ebbrezza alcolica.
Intossicazione cronica da alcool.
L’ingestione continuata di alcool induce una progressiva tolleranza farmacologica che si evidenzia con l’aumento dell’assunzione e con la comparsa di una sindrome da deprivazione se l’alcolemia si abbassa.
I problemi dell’alcoolista cronico sono in parte legati alle proprietà nutritive dell’alcool che deprimono l’appetito e portano a difetti di vitamine ed aminoacidi essenziali: polineuropatie periferiche, pellagra, ambliopia nutritiva, encefalopatia di Wernicke, sindrome di Korsakoff e cirrosi epatica.
1) sindrome da deprivazione e delirium tremens: dopo qualche ora dall’ultima assunzione cominciano tremori, nausea, astenia, nervosismo, crampi addominali e vomito. Il soggetto può cominciare ad avere visioni terrifiche, a contenuto persecutorio, soprattutto notturne, in questa fase il soggetto è ancora lucido e discretamente orientato. Dopo due, tre giorni di prodromi si manifesta un grave disorientamento spaziale con delirio, si manifestano visioni di animali immondi (microzoopsie) che vengono a popolare la stanza del soggetto e passano sul suo corpo, scatenando delle reazioni di spavento, collera e difesa che possono risultare pericolose per chi assiste.
2) psicosi di Korsakoff: insorge spesso dopo una fase di delirium ed è caratterizzata da deficit marcato della memoria di fissazione, confabulazione, disorientamento temporo-spaziale.
3) sindrome di Wernicke: è caratterizzata da oftalmoplegia, nistagmo ed atassia con stato confusionale ai quali può far seguito torpore e coma terminale.
4) allucinosi alcolica: è rappresentata da allucinazioni uditive a contenuto persecutorio o sessuale, ai quali il soggetto reagisce con tentativi di fuga, o di suicidio, ovvero con aggressioni contro i presunti persecutori. La sua cronicizzazione riconduce a quadri schizofrenici o demenziali.
5) sindrome psico-organica alcolica: ad una fase iniziale di declassamento e di decadimento etico, accompagnata da deficit intellettivo e volitivo, irascibilità con scoppi di violenza alimentati da deliri persecutori e di gelosia, subentra un profondo deterioramento mentale che non di rado esita in demenza.
I problemi medico-legali dell’alcoolismo Diagnosi medico-legale di abuso di bevande alcoliche
Per gli accertamenti medico-legali il sangue è il materiale biologico di elezione, buona è la corrispondenza fra alcool salivare ed ematico, anche se vi possono essere delle contaminazioni
salivari da alcool appena introdotto in cavità orale, meno attendibili sono le concentrazioni riscontrate nelle urine ed il tasso alcolico dell’aria alveolare.
I metodi di laboratorio più comunemente usati sono ossidoriduttivi, enzimatici e fisici (gascromatografia).
La diagnosi di alcoolismo cronico è fondata principalmente su criteri di giudizio clinico (indagine anamnestica, anamnesi lavorativa, esame clinico obiettivo, esame psichico) e su reperti laboratoristici quali l’aumento di enzimi epatici (transaminasi, latticodeidrogenasi, , gamma GT), un volume corpuscolare medio dei globuli rossi superiore a 100? 3 dovuta a deficit polivitaminici, dislipidemie, segni di sofferenza pancreatica, ecc.
Per l’intossicazione acuta il dato certo è fornito dalla determinazione dell’alcolemia. Nel prelievo dal vivente la disinfezione della cute deve avvenire con prodotti non alcolici, il materiale prelevato non deve rimanere esposto all’aria. Anche nel soggetto completamente astemio è documentabile una modestissimo tenore alcolico nel sangue, intorno ai 5 mg%, dovuto al prodotto intermedio del metabolismo degli idrati di carbonio.
Il prelievo di sangue è considerato una manovra invasiva e deve essere preventivamente ottenuto il consenso del soggetto da indagare, per questo motivo è stata adottata la rilevazione del tasso alcolico mediante l’etilometro (test del "palloncino"). La ripartizione alcolica tra aria alveolare e sangue è mediamente, a 31 °C, di 1:2100, cioè in 1 ml di sangue vi è la stessa quantità di alcool presente in 2100 ml di aria alveolare. Gli apparecchi in uso in Italia, visualizzano immediatamente il risultato della misurazione e lo stampano per fornire la prova documentale. Il test "positivo" deve essere ripetuto ad un intervallo di 5 minuti.
Negli U.S.A. è stato introdotto il test alcolemico salivare, molto più affidabile e pure di semplice esecuzione, ma non è stato recepito dal legislatore italiano.
Medicina legale penalistica
Il c.p. distingue le seguenti specie di ubriachezza e stupefazione:
Accidentale. involontaria o incolpevole, derivante da caso fortuito o da forza maggiore (art. 91), come incidenti, errori, scherzi o costrizioni. Se l’ubriachezza è piena, il soggetto non è imputabile di eventuali reati, se non è piena, ma diminuisce grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, il soggetto risponde di eventuali reati, ma con pena ridotta.
Volontaria. Può essere intenzionale o colposa, non esclude né diminuisce l’imputabilità (art. 92). Dovrà rispondere a titolo di dolo o di colpa del reato commesso a seconda se il fatto fu voluto o se avvenne per colpa, come ogni individuo normale.
Preordinata. Quando l’ubriachezza è preordinata al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusa, l’imputabilità non è esclusa né ridotta, anzi la pena è aumentata (art. 92, 1° cpv.). Perciò agisce come circostanza aggravante, in considerazione della maggiore criminosità del colpevole.
Abituale. E’ considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcoliche e in stato di frequente ubriachezza (art. 94). Non si ha ubriachezza abituale se il soggetto non abusa in modo costante di bevande alcoliche o resiste bene all’alcool e cade solo di rado in stato di ebrietà.
B. Appliquer une prescription médicale L’application d’une prescription médicale (APM) comporte un problèmerelevant de la proportionnalité, mais pas seulement. Les autresquestions professionnelles relatives à l’APM seront évoquées mais neseront pas traitées dans ce cours de didactique des mathématiques. • Les problèmes mathématiques relatifs aux APM La proportionnalit